Questa mattina, schiacciata sul mio sedile in metropolitana, tra una signora che leggeva il giornale come fosse in poltrona e un tizio abbastanza giovane che deve aver abbandonato da tempo la barbara abitudine di soffiarsi il naso, riflettevo sul fatto che la mia collega Fra pensi che io sia più zen del solito.
Ho notato che la signora stava sconfinando prepotentemente in quello che era il mio mezzo metro d'aria ma non le ho inserito un gomito tra le costole. E neanche mi sono girata a regalare un fazzoletto al giovane smoccolone.
Neanche l'ho pensato.
Pochi minuti fa un signore mi ha costretto a spiegargli dove trovare un libro, dove trovare la stazione di Cadorna, dove trovare la Triennale dieci volte, perché non mi ascoltava. E non mi sono arrabbiata.
Non è da me, davvero.
Sarà che sto invecchiando, ma non ho più voglia di arrabbiarmi per qualche invasione del mio spazio vitale, non ne vale la pena.
Meglio incanalare le reazioni innervosite nel meraviglioso universo dell'ironia e farsi gioco del malcapitato cafone.
Bookshop moderatamente pieno, io sono in cassa con una collega. Una signora paga il catalogo e il manichino a fianco a lei stizzito chiede dove sia la coda che non si capisce.
Io: "Mi scusi, presumevo riusciste a formare una coda da soli..." Ti insegnano all'asilo a fare la fila.
Manichino: "Presumeva male"
Eh, già, e io che pensavo che il pollice opponibile li rendesse abbastanza autonomi per cavarsela da soli.
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