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giovedì 31 ottobre 2013

Sheena is a T-Shirt Salesman

A star bene a guardare, non ci sono buoni motivi per cui lagnarsi, in questo periodo. 
Lavoro, faccio cose, vedo gente. 
Certo, sono stati due mesetti tosti, questi ultimi, dal mio punto di vista. 
Il 15 di agosto ho festeggiato un anno di lavoro in Probation. 
Festeggiato si fa per dire: lavoro in una reception dove vengo, a settimane alterne, insultata perché, idiota io, faccio il mio lavoro. 
Diciamo che ho festeggiato facendo domanda per altri lavori, tra cui uno nel mio stesso ufficio, ma nel reparto amministrativo. 
Il risultato è stato pateticamente prevedibile, il lavoro è andato a qualcun altro. 
Motivazione: nel mio colloquio non ho fatto un preciso elenco dei documenti che produco ogni giorno, non sono stata abbastanza completa nel srotolare tutte le letterine, gli elenchini, i faxettini che escono dalla mia stampante grazie a queste mani fatate. 
E poi il lavoro è andato alla mia collega stronza, così’ quanto meno s’è tolta dai piedi. 
E io accumulavo stress: tensione da colloquio, tensione da faccia da agente dell’FBI che comunica la morte di un parente prossimo in una serie americana, quell’espressione misto “ti capisco” e “soffro con composto distacco con te” della mia capa, tensione da “mi sono proprio rottarcazzo di stopostodemmerda”. 
A fine settembre sono andata a Barcellona, e per due giorni interi ho anche pensato che restare sarebbe stata la scelta migliore: era festa, la gente era tutta presa bene, serena, festeggiante.. Una meraviglia! Adoro Barcellona e non penso mi stuferà mai.
Comunque sia, la vita procede, faccio progetti a medio termine, e sono sempre piuttosto affascinata dalla possibilità che ho di farli, frequento amici e colleghi.
Ho una vita, insomma - per me è una considerazione abbastanza eccezionale.




sabato 14 settembre 2013

Red Wine, Mistakes, Mythology

È martedì sera e mi si chiudono gli occhi.
Sono le 9 e sono ancora a lavoro.
Mi piacerebbe essere ancora qui per l’estrema importanza della mia posizione, importante a tal punto da richiedere la mia presenza ben oltre l’orario d’ufficio.
E invece no. Sono qui perché i delinquents hanno bisogno della balia anche dopo cena, quando vengono a seguire corsi su come imparare a pensare prima di tirare una sberla.
Quello della receptionist per l’ufficio del Probation è un mestiere interessante, certo, ma ammetto i logorio della vita moderna sarebbe meno fastidioso del logorio della reception dei mancati galeotti, per cui l’impegno principale di questi miei ultimi tempi è stato compilare domande di lavoro – un bel cricetone bianco a spasso sulla ruota a ripetere costantemente quanto io sia brava a fare quello che loro richiedono che sia brava a fare.

Vivere con i Britannici non è semplice, tanto meno lo è cercare di farsi piacere abbastanza da assumerti: tu sarai sempre l’Italiana pazza che arriva con i suoi modi di fare un po’ strani, il senso dell’umorismo poco immediato e un accento buffo.
Non ti capiscono, sei un’aliena.
Devo ammettere che ora ho un punto di vista un po’ più ampio sulla vita dell’immigrato in Italia: non è un cazzo facile.
Perché te sei lì, con il tuo bagaglio di tradizioni, cultura, credenze, convinzioni, anche luoghi comuni sul paese in cui sei appena atterrato, e ti trovi questa folla incontrollata di sconosciuti che ti passa ai raggi x basandosi sulle proprie convinzioni e sui propri luoghi comuni e ti giudica.
Esattamente come noi Italiani facciamo con gli stranieri che approdano in Italia, qui sei in mutande davanti alla commissione giudicante per buona parte del tempo.
E sì, sono le mutande con l’elastico molle che ti ha comprato tua madre, nel mio caso con i fiorellini rosa, ascellari e di cotone a costine.






venerdì 1 marzo 2013

Burn


Arriva il buio, alla fine. La luce resiste, si fa forza e non si lascia sopraffare, ogni giorno tiene duro un minuto in più.
Cammino godendomi questo regalo dalla stagione che passa, cerco di prendere fiato.
Lavoro con quella porzione di umanità che stenta a crescere, che si rivela nel suo peggio e che si affaccenda a spese altrui, che manca di empatia e di cura e addirittura infierisce nei confronti di chi ha attorno.
Come si fa a non farsi attraversare dalle storie delle persone? 
Come si fa a non fondersi anche solo marginalmente dalle esistenze che ti si avvicinano ogni giorno?
E' stata una settimana complicata, questa. 
Come il raffreddore quando sei molto stanco: peggio di quello che è realmente solo perché le tue difese sono basse e non funzionano bene.
Sono esausta, emotivamente disidratata.
Una di quelle settimane in cui è necessario ricordarmi i buoni motivi che mi hanno fatta intestardire nel tenermi questo lavoro.
E' il venerdì delle mie forze, è la fine giornata della mia empatia.

The night comes, in the end. The light lasts, keeps up and doesn't give up, every day holds out a minute more.
I walk enjoying this gift from this season that goes, I try to breathe.
I work with that bit of humanity that finds growing hard, that reveals its worst and keeps busy at expense of others, that misses empathy and care and even rages against those around them.
How could you avoid being crossed by other people's stories?
How could you avoid blending even marginally with the lives that come close to you every day?
It has been a very difficult week..
As if you catch the cold when very tired: worst than how it really is, only because your defenses are low and don't work properly.
One of those weeks in which it's necessary to remind the good reasons why I have been so stubborn keeping this job.
It's the Friday of my strength, the end of the day of my empathy.


domenica 13 gennaio 2013

Kings and Queens


Eeeeh buon anno!
Finalmente un anno tutto nuovo, ancora da spacchettare..
Siamo a gennaio ed è passato uno sfacelo di tempo dall'ultimo aggiornamento.
Si era rimasti con una nuova casa, un nuovo lavoro e una situazione più stabile: abbandonata la casa dei Gigantor, mi sono trasferita dall'altra parte della strada, in una casa meno affollata, con un bulgaro pazzo che mangiava in piedi sei uova alla volta e che quando se n'è andato s'è portato via tutti i cucchiai, il cui padrone era un ometto cinese con i denti sporgenti e gli occhiali spessi, che passa almeno una volta la settimana a pulire i fornelli e a sedersi in giardino a fissare la pianta di pere.
Sono durata poco qui, una volta spedito il bulgaro pazzo, il tizio che è arrivato aveva il brutto vizio di friggere alle dieci di sera, inondando la casa di olezzi nauseanti e di occupare il bagno costantemente, per cui ho imbustato i miei stracci e ho preso casa per conto mio.
E' un appartamento modesto, una casetta in un giardino, una stanza con bagno e cucina, molto carina, essenziale e soprattutto solo mia. Niente gente che va e viene, cibo che sparisce o sudiciume che appare, moderato ordine che resta, silenzio, pace, che questa casa non è un albergo e la mia vita da vecchia befana brontolona è solo mia.
Tra un trasloco e l'altro ho acquisito un secondo lavoro: finivo al museo verso l'una, e alle due iniziavo a lavorare come receptionist per l'ufficio locale del Probation Trust.
Eccheccos'è il probationtrust?! Per la legislazione locale, una volta che commetti un crimine, il giudice può decidere di non mandarti al gabbio e lasciarti in libertà vigilata, come nei film americani degli anni novanta, e una volta a settimana ti tocca la supervisione, magari anche del servizio civile a zappare aiuole perché, mio bel cretinone, se decidi di ararle con i copertoni della golf mentre guidi sbronzo, ripaghi la comunità con le manine sante. Essere in libertà vigilata si dice essere “in probation”, e il probationtrust è l'ente che si occupa dei cretinoni.
Quello che faccio io è abbastanza operativo: sono in reception, per cui quando arrivano per la supervisione li registro e chiamo la persona con cui hanno l'appuntamento, rispondo al telefono e mi sorbisco le loro lagne, spedisco loro lettere minacciose e altre noiosità da ufficio.
Il lavoro mi piace, piuttosto impegnativo, certo, ma interessante, l'unica nota negativa è la megastronza che lavora con me: stronza perché presuntuosa e invadente, non c'è un minuto in cui si faccia gli affari propri tanto da avvicinarsi alla mia scrivania per vedere cosa c'è scritto sui fogli che ci lascio, ma megastronza perché non tace mai. Mai mai mai. Ha continuamente bisogno di vomitare le cazzate che le nuotano nella scatola cranica, filtrandole unicamente per gradi di meschinità a seconda di chi ha davanti: la lamentela su un errore di un collega esce solo con il capo, mentre puntualizzare quanto è stata brava a parlare con il capo esce solo con colleghi compiacenti.
La megastronza si è affezionata alla vecchia receptionist che è stata mandata in amministrazione, per cui ogni visita giù da noi era una specie di festa per ricordarle quanto le manca. Ovviamente davanti a me.
La faccia di gesso che ha fatto quando è venuta a sapere che questa da lunedì cambia lavoro è stata impagabile.
Intanto il lavoro al museo è finito, ieri era l'ultimo giorno, e devo dire che mi è spiaciuto salutare quella simpatica banda di burloni: un sacco di abbracci e raccomandazioni, una cartolina per salutarmi che quasi mi facevano commuovere. Meno male che siamo andati a bere dopo.
A questo punto direi che la risposta a “Come vanno le cose?” è “Molto bene, grazie”. 
E sabato torno in Italia!



venerdì 31 agosto 2012

No one knows


martedì 10 luglio 2012

Gonna see my friend


Quando sono arrivata qui ho arbitrariamente deciso che l'unità di misura del mio essermi ambientata sarebbero stati i prodotti da bagno: partendo con quelli italiani, una volta sostituiti tutti con gli equivalenti locali, sarei stata ufficialmente un'abitante di Cambridge (Il metodo scientifico mi fa un baffo).
Non molto accurato, questo lo ammetto.
Qualche giorno fa ho potuto verificare una seconda possibilità: gli incontri casuali.
Niente dice di più della tua presenza in una città dell'incontrare per strada persone che conosci (no, la vicina che guardi di nascosto dalla finestra del bagno non vale): sto iniziando ad incontrarne!
Prima un amico per strada, poi una collega in un negozio.. piano piano questo posto non ha più angoli sconosciuti.
Certo, il rischio è di trovare in giro dei rompicoglioni, ma ho una certa abilità a dileguarmi tra la folla.
Intanto ho cambiato casa: abbandonata la microcamera nella casa dei mostri, ora ho una bella stanza con il lettone per dormire a mo' di stella marina, delle tendine e un lampadario di dubbio gusto e solo tre coinquilini che fino ad ora non hanno fatto della cucina la sagra della salsiccia.

When I arrived here, I decided that the unit to measure my being settled would be bath products: starting with the italian products, once replaced them with the local ones, I'd officially be a Cambridge resident (Scientific method makes me laugh).
Not very accurate, I must admit.
Few days ago, I had the opportunity to verify another method: casual encounters.
Nothing tells you more about your presence in town than meeting down the street people that you know (no, not your neighbour that you spy from the bathroom window): I'm beginning to meet some!
Once a friend, then a colleague in a shop: slowly this place has no hidden corners for me.
Obviously, there's also the risk of meeting some pain-in-the-ass, but I have some good skills like vanishing in the crowd.
In the meantime, I moved: leaving behind my micro-room in the monster house, now I have a nice room with a big bed where I can sleep in starfish-mode, cheap curtains and chandelier and only three housemates that until now haven't turned the kitchen in the sausage fair.





mercoledì 6 giugno 2012

Canto nazionale

Dell'Italia mi mancano le sagre e le feste della birra, il piccolo palco allestito nella piazzetta del paese o sul cemento del campo sportivo, i bicchieri di plastica, la birra gelata e il fritto misto.
Dell'Italia mi manca uscire e andare dal panettiere per il pane e uscirne con la focaccia dolce, e ancora meravigliarmi che appena fuori dalla mia zona neanche sappiano che esiste una focaccia dolce.
Dell'Italia mi manca che la cucina sia la stanza più importante della casa.
Dell'Italia mi manca la dinamicità della lingua, l'essere poetiche cose lontanissime dalla poesia.
Dell'Italia mi mancano le colline, le strade di campagna e le tangenziali, la guida a destra e i semafori rosso-verde-giallo-rosso e non tutto il giallo che usano qui.
Dell'Italia mi manca tutta quell'ansia di non essere riconosciuti come Italiani ma arrabattarsi per essere il più cosmopolita possibile.
Dell'Italia mi mancano i ciddì di gruppi italiani che non avevo mai sentito e che sono effettivamente bravi, e che, guarda un po', suonano qui vicino la settimana prossima.
Dell'Italia mi manca la colazione al bar, i free press e i sampietrini, le città d'arte in cui dopo le cinque c'è ancora vita.
Dell'Italia mi manca l'aperitivo, l'happy hour, la Menabrea, il vino rosso.
Dell'Italia mi manca vedere i giocatori della Nazionale di Rugby che cantano l'Inno sapendo tutte le parole.
Ho passato il due giugno come fosse un giorno normale, lavorando e parlando con la gente, pensando che era il due giugno, festa della Repubblica, e che in questi sette mesi gli Italiani, che avrebbero dovuto festeggiare, hanno proprio passato un periodo di merda, e che l'essere partita non me l'ha fatto dimenticare.

Of Italy, I miss town and beer festivals, the small stage mounted in the small town square or on the cement pavement of the sport centre, the plastic glasses, the icy beer and the fish fry.
Of Italy, I miss going to the baker to buy bread and coming back with sweet focaccia, and still being surprised that out of town nobody knows about the sweet focaccia.
Of Italy, I miss that the kitchen is the most important room in the house.
Of Italy, I miss the dynamic language, being poetic things so far from poetry.
Of Italy, I miss the hills, the country roads and the ring roads, driving on the right side and the traffic lights red-green-yellow-red and not all the yellow used here.
Of Italy, I miss the anxiety not to be recognized Italians but getting by to be the most cosmopolitan possible.
Of Italy, I miss cd's of Italian bands I've never heard of that are actually good, and, hang on a minute, they're going to play not far from here next week.
Of Italy, I miss breakfast at the café, freepress magazines and the cobblestones, the cities of arts where after 5pm there's still life around.
Of Italy, I miss aperitivo, happy hour, Menabrea beer, red wine.
Of Italy, I miss the National Rugby Team players singing the national anthem knowing all the words.
I spent 2nd June like it was a normal day, working and talking with people, thinking it was 2nd June, Republic National Feast, and during these seven months Italians, who should have celebrated, had a truly shitty period, and being away didn't make me forget it.


lunedì 14 maggio 2012

I Got You, Babe

Credo farò causa al comune di Cambridge per pubblicità ingannevole.
L'anno scorso sono stata qui in vacanza a fine aprile ed era un paradiso: sole e caldo, alberi in fiore, cielo terso.
Siamo a metà maggio e io vado ancora in giro col cappotto.
Finisce che divento metereopatica. O metereologica, come un'ex coinquilina di nostra conoscenza. La stessa che, durante un pranzo tra amici, quando il nostro vicino di casa ha raccontato di essere stato al concerto-tributo a Freddie Mercury di Wembley gli ha chiesto con nonchalanche: “E Freddie com'era?”.
Morto”.
Pioggia compresa la vita va avanti.
Ho un nuovo lavoro dopo un mese di colloqui dagli esiti negativi e la prima impressione è di essere finita nella mia personale versione di “Ricomincio da capo”, film del 1993 in cui Bill Murray si risveglia sempre nello stesso giorno: lavoro in un museo, in occasione di una mostra.
Stavolta però alle audioguide, non in biglietteria.
Dopo cinque anni a Palazzo Reale e dintorni pensavo di essermene fatta una ragione e di poter archiviare la mia fase “artistica”, invece no, persisto nei miei errori.
Fortuna che non mi sono intestardita nel voler lavorare in un circo.

I think I'll sue the Cambridge City Hall for misleading advertising.
Last year I've been here on holiday and it was a paradise: sunny and warm, trees in bloom, clean sky.
It's mid-May and I roll around in my coat.
I'll end up being meteoropathic or meteorological, as that former-housemate of our acquaintance. The same one that, during a lunch with some friends, when our neighbor said he was at the tribute concert to Freddie Mercury in the Wembley Stadium, asked: “And how was Freddie?”.
Dead”.
Including rain, life goes on
I've a new job, after a month of interview with negative results and the first impression is that I'm in my personal version of “ GroundhogDay”, a 1993 movie in which Bill Murray wakes up always in the same day: I work in a museum, for a temporary exhibition.
This time as audio guide assistant, not at the ticket office.
After five years working in Palazzo Reale I thought I resigned myself to all this and my “artistic” stage ended.. on the contrary! I go on with my mistakes.
Luckily I haven't been stubborn over working in a circus.

sabato 7 aprile 2012

Before I forget

Uno dei modi di dire inglesi che preferisco è "shit happens": è il corrispettivo del nostro fare spallucce e dire "eh, capita". Mi piace perché è vero senza ombra di dubbio, non puoi controbattere. E' il modo migliore per chiudere una conversazione da ascensore, per esempio.
Comunque sia, come dicevo, shit happens: dopo mesi di intensa ricerca di lavoro, avevo trovato un lavoro interessante - la host in un ristorante latinoamericano: accogliere i clienti, controllare le prenotazioni, farli sedere al tavolo e sorridere.
Ora, io non sono una musona, anzi, ma neanche possiedo una personalità dirompente, entusiasta e scintillante.
Diciamo che la mia simpatia viaggia su sottili e asciutti binari dell'ironia e del sarcasmo, binari che normalmente non ti portano in Latinamerica. E, alla fine, mi han portato fuori: dopo la prima sera, sono stata spedita, senza tante cerimonie, per il mio essere non abbastanza sorridente.
Shit happens.
Certo, moderatamente infastidita la sono, al di là dell'ovvio problema economico e del fastidioso modo di venire a sapere che non ho più un lavoro alla fine di una giornata lunghissima, i colleghi mi piacevano tanto e l'ambiente era adorabile, ma non voglio farmi abbattere il morale da un incidente di percorso, infondo ci sono stati lati positivi: venerdì, ad esempio, ho potuto passare il pomeriggio al pub con gente simpatica. Ho anche chiacchierato a lungo e civilmente sia con papà Gigantor che con mamma Gigantor. E sono stati (rullo di tamburi) carini ed incoraggianti! Davvero, entrambi mi hanno assicurato che di certo troverò di meglio, che evidentemente c'è un lavoro migliore che mi aspetta: lui, dopo una sequela di insulti al manager, lei dopo un'attenta considerazione della situazione basata sulla sua esperienza in ristoranti di alto livello, esperienza provata da pantaloni da chef a quadretti. E, non di meno, non sarò costretta ad ascoltare altra dannata musica latinoamericana, seconda solo al rap per bruttezza.
 
One of my favourite common saying in English is "shit happens": it's the same as our Italian saying "eh, it happens" shrugging. I like it because it's true without any doubt, you can't answer back. It's the best way to close a lift chat, for example.
By the way, as I said, shit happens: after months of intense job research, I found an interesting job: host in a latin-american restaurant: welcoming customers, checking the bookings, seating them and smiling.
Now, I'm not a moper, not at all, but neither I've an exploding, enthusiastic and sparkling personality.
It should be said that my popularity travels on keen rails of irony and sarcasm, rails that normally don't take you to Latin America. And, in the end, they took me outside Latin America: after the first night, I've been unceremoniously fired because I wasn't smiley enough.
Shit happens.
Obviously, I'm a bit annoyed, beyond the economic problem and knowing I have no more a job at the end of a very long day, I loved my collegues and the environment was adorable, but I don't want to be dejected by a mishap, but looking in the bright side: on Friday, for example, I spent all my afternoon in a pub with funny people. I also had a couple of long and civilized chats with both Gigantor mum and dad (my horrible housemates), that have been (drum roll) nice and encouraging! Really, both ensured me I'll find a better job for sure, that there's evidently a good job waiting for me: him, after a long stream of abuse, her, after a careful consideration of the situation based on her experience in silver service in good restaurants, experience proved by chef checked trousers. And, not less that I won't be forced to listen other damned latin-american music, worst in value only to rap.

giovedì 1 marzo 2012

God Save The Queen

“Ciao, come va?”
“Mah, tutto bene.. solito. Tu?”
“Ma come solito? Tu che sei lì.. chissà cosa ti capita!”
E cosa mi deve capitare, gente bella? In quale turbillon di meravigliose avventure figurate io incappi nelle vostre testoline fantasiose? Va così, vivi all'estero e si pensa che tu non abbia un quotidiano, che non sia possibile che ti annoi.
“Beh, ma dai! Raccontami qualcosa! Com'è il tempo lì? Piove sempre, eh?”
Mannaggia alle leggende metropolitane: no, non è così piovoso qui. Piove con moderatezza. Certo, ti sposti verso nord e ti crescono le branchie, ma a queste latitudini il fenomeno è fortunatamente contenuto.
“Ah, e allora.. il cibo? Come si mangia lì? Male, vero?”
Leggenda in parte falsa. Non si mangia male, si mangiano cose diverse. Non esiste il “primo”, seppure abbiano scippato la pasta a piene mani dalla nostra pummarola, annegandola tra le polpette, ed è talmente pieno di ristoranti di diverse provenienze che basta scegliere. Certo, il “parzialmente falsa” sta nei ristoranti italiani: se ci si aspetta il menù dell'agriturismo della valle, cucinato ad arte e con prodotti tipici, sarebbe il caso di restare in valle.
I sapori vengono adattati al gusto indigeno, ma, d'altra parte, anche il signor ristoratore deve campare, e se per campare deve mettere i funghi nella carbonara, lo fa sorridendo.
L'ideale sarebbe smettere di fare gli Italiani viziati che si aspettano la cucina di mammà e provare ad assaggiare il fish and chips, le salsicce con purè e le torte salate (che io adoro) con un po' di spirito di avventura.
“Ah, ma lì la gente com'è? Precisi, vero?”
Altro mito: qui la gente è cortese ma non è così precisa o puntigliosa.
Sono rispettosi delle regole, alle volte sembrano quasi spaventati all'idea di non farlo, manco li rincorresse un drago se chiudono un occhio.. ma sulla precisione.. hmm.. danno l'idea di voler apparire in ordine da una certa distanza, ma se ti avvicini ti rendi conto che in realtà non è così pulito o in ordine, che le cose sono fatte un po' ad minchiam, come dicevano i Romani.
E sì, bevono caffé annacquato. E sì, i dolci sono buonissimi, anche se strapieni di burro. E no, non si ferma tutto alle cinque perché bisogna prendere il te.


mercoledì 25 gennaio 2012

You learn

Non ho ancora un punto di vista obiettivo quando si tratta dell'Italia, di tanto in tanto mi manca, ma infondo sono solo tre mesi che sono qui, neanche il mio beauty-case si è disfatto del ricordo del BelPaese e porta in giro creme e saponi italici.
Di casa mi mancano le cose laterali: la mia cucina, uscire per un caffè con un'amica, incazzarmi con il telegiornale - non ha la stessa forza incazzarsi con internet.
Quel che mi è parso di capire è che qui hanno un'idea un po' distorta degli Italiani: ancora ieri mi è stato chiesto se è vero che in Italia amiamo i bambini e per questo ne facciamo tanti.
Oppure se siamo molto religiosi, o se le donne cucinano tanto e bene.
Un baule di cliché duri a morire di lei, probabilmente ereditati dal boom economico degli anni sessanta e rimasto fotografato nell'immaginario di una generazione fa, perché quella attuale, i ragazzini, per capirci, adolescenti e post-adolescenti, non sanno molto. Anzi, a quanto m'è parso di capire non sanno niente.
Lo dico perché lavoro con un ventaglio di ventenni che appaiono sempre un po' dubbiosi quando la conversazione esce dal triangolo shopping - fast food - soap opera.
Sarà che, come si diceva al telefono questo pomeriggio con la mia amica Fra, sembrano tutti più giovani di noi da un po' di tempo a questa parte.

Comunque sia ho trovato un passatempo degno della mia asocialità: andare in biblioteca.
Ci passo le ore.
Sarà che ho un portatile e la wifi è illimitata, ma da quando ho fatto la tessera la mia vita è cambiata. Non devo passare tutto il mio tempo in quella stanzetta che ho affittato nella brughiera di Cambridge, circondata dal cattivo umore di papà Gigantor, posso ascoltare la musica (con le cuffie) e mi sento parte di questa cittadina universitaria.
Tutto sta a trovare un nuovo lavoro, così cambio casa abbandono i Gigantors alle loro lagne.

la vista dalla biblioteca

domenica 1 gennaio 2012

Panic (on the streets of London)

Primo gennaio, mezzanotte e rotti.
In sottofondo, un sacco di petardi che scoppiano.
Ho guardato un paio di film in quest'ultimo dell'anno, non sono uscita, non sono andata a nessuna festa, non ho proprio messo il naso fuori di casa.
E' che sono un po' prevenuta, preferisco aspettare e magari festeggiare il capodanno cinese, a febbraio, quando magari mi sarò fatta un'idea di come sarà quest'anno nuovo che inizia, un'idea di come gireranno le cose..
Festeggiare ora mi pare prematuro, ecco.
Come ogni anno ho cercato di evitare l'elenco dei buoni propositi, non voglio dare al mio censore interno, alla beghina che mi abita dentro buoni motivi per biasimarmi, quando, a metà giugno, il mio elenco sarà intonso e non ci sarà nessun proposito realizzato. Preferisco cogliere la vecchia di sorpresa e spernacchiarla ogni volta che raggiungerò un obiettivo che non sa che mi sono posta, senza permetterle di farmi esondare frustrazione.
L'unica cosa che mi riprometto in questo mio trentaduesimo è di prenderla bassa, di non farmi cogliere dall'ansia da prestazione e di entrare nelle cose con un atteggiamento morbido, rilassato, tanto il risultato non cambia.
Ma non è un buon proposito per l'anno nuovo, è un buon proposito per il resto della mia vita, la beghina non potrà batter cassa tra dodici mesi (ti ho fregato, antica meretrice!).
Posso però esprimere desideri:
  • vorrei cambiare lavoro: è carino fare la commessa in un negozio di cartoline d'auguri.. ma magari un lavoro da adulto sarebbe più consono.. infondo..
  • vorrei cambiare casa: i pazzi sono divertenti, ma non quando ad ogni ora e con ogni clima lasciano tutte le finestre aperte;
  • vorrei trovare un uomo: che dire? Sono carne e sangue, mica segatura.. Lavorerò sulla lista delle condizioni sine qua non per renderla affrontabile.
Ok, anche la pace nel mondo, la risoluzione dei conflitti, il risanamento dell'economia italiana e la democrazia in Italia.. ma i miracoli non sono di mia competenza.



sabato 10 dicembre 2011

Candy perfume girl

 Allora, voglio rassicurare quelli che si chiedono come stia andando qui, nella perfida Albione: va tutto bene, serenamente, placidamente bene.
Placidamente perché questo è il paese dell'attesa: si aspetta l'autobus (in orario), si aspetta il proprio turno in una coda ordinata, si rimane sospesi all'attimo prima che la vita cominci, per cui ho pensato che sarebbe carino mettere a frutto questo tempo regalatomi da Sua Maestà per dare concretezza alle mie risorse.
Ancora non so bene come, ma quest'iniezione di ottimismo inaspettata non va sprecata così, senza cogliere l'attimo, senza approfittare del 3 x 2 al reparto soluzioni alternative che questo paese mi offre.
Per il resto.. beh, sì, casa mi manca, mi mancano le persone, mi mancano le mie comodità quotidiane, mi manca il mio gatto che a quanto mi dicono è lievitato come il panettone verso il 23 dicembre, ma no, non ci torno per Natale, sono appena arrivata, non voglio mica fare la felicità di Ryanair e l'infelicità del mio conto in banca tutto nuovo.
Vivo con gente buffa, ovviamente. Una ragazza francese che dopo sei anni sopravvissuta qui forse parte per Miami o per la Thailandia, una coppia di ragazzi di cui percepisco la presenza giusto ogni tanto, un'ingegnere elettronico indiana incapace di cucinare e la famiglia Gigantor.
La famiglia Gigantor è un terzetto, padre, madre e figlio, che mi ricorda tanto la favola dei tre orsi, solo che io non sono Riccioli d'oro e non rubo loro la minestra o dormo nei loro letti.
Li chiamo così perché sono giganti: non che dal mio metro e una carota il resto del mondo non sia già più alto, ma questi sono davvero enormi. Tutti e tre. E sono sempre molto circospetti.
La mamma è già più socevole, saluta quando entra e quando esce dalla cucina e ogni tanto facciamo due parole, il figlio mi chiama “madam” e vorrei tanto prenderlo a martellate quando lo fa, ma non posso, è gigante, anche se sembra terrorizzato dal mio avvicinarmi, e poi c'è lui, papà Gigantor, l'uomo con più opinioni della terra.
Lui odia stare in Gran Bretagna, ma non ho capito bene perché non può andarsene, per cui si lagna. E si lagna del vivere in comune. E si lagna del fatto che gli altri siano sporchi – non che lui sia l'emblema dell'igiene, eh. E si lagna che qui la gente è antipatica e maleducata. E si lagna che nessuno gli trova lavoro. E si lagna che fa freddo.
Quando non si lagna, esamina quello che fai: il primo giorno in cui ho portato fuori la mia spazzatura, ha controllato che facessi la differenziata correttamente.
E' lo stesso genio che non capisce perché io faccia il brodo nel pentolino e non a microonde. O perché io mi ostini a cuicinare. O perché io mangi “solo” il salmone con il pane quando potrei sfondarmi di salsicce fritte.
A parte questo, tutto bene.

venerdì 18 novembre 2011

Silent All These Years

Sono qui per raccontare una storia.
Una storia piccola, di molto tempo fa.
Una storia che non ho mai raccontato a nessuno fino ad ora.
Una storia che inizia, come tutte le mie storie di qualche interesse, con un viaggio.

1995 - Jerez de la Frontera, Spagna.
Non so come sia ora, ma io mi ricordo una città assolata, calda e chiassosa.
Mi ricordo le palme, alti palazzi grigi e un vicolo in cui dei ragazzi danesi ubriachi importunavano le passanti.
Mi ricordo la terra riarsa fuori dal centro città, dove tra le isole di costruzioni c'erano solo cespugli e le nostre facce sudate.
Mi ricordo le spedizioni a comprare il ghiaccio in sacchettoni e i botéllons nei parchi con la musica improvvisata e la voglia di vivere spagnola.

A Jerez c'era un centro commerciale Continente dove ho comprato due cose che ancora mi accompagnano.
Una copia di "Little Earthquakes" di Tori Amos in vinile e un quaderno di Snoopy.
Tornata a casa, credo di aver ascoltato immediatamente il disco, per poi dimenticarmene e riscoprirlo anni dopo, mentre ho messo via il quaderno. 
Ho deciso di lasciarlo così, intonso, perché, al contrario di quel che potrebbe sembrare, o, addirittura in perfetta coerenza con la mia immagine, ho un animo profondamente romantico.
A quindici anni ho comprato un quaderno che avrei usato con una persona speciale, con il mio "lui" speciale.
Già propensa alla fantasticheria interstellare, avevo quest'idea di trovare un ragazzo a breve, di innamorarmene, di essere amata, e di aver bisogno di uno spazio solo nostro per scambiarci parole esclusive, preziose, di necessitare di una testimonianza concreta dei nostri sguardi e dei nostri sogni.

2011 - BigCake, Provincia borderline, appena sotto il grande fiume, Italia

La casa tace e sono le tre del mattino.
Mi fumo l'ultima e vado a dormire, tanto quel che fatto è fatto.
La valigia è aperta ma ci metto un secondo a chiuderla domattina.
Non devo dimenticarmi i libri, non devo dimenticarmi i biglietti, la carta d'identità.
Domani è il primo giorno della mia nuova vita, non ci posso arrivare senza un pezzo.
Ho bisogno di qualcosa su cui scrivere. Che cosa avrò da scrivere ancora, poi, lo so solo io. Ho il portatile, in Gran Bretagna venderanno quaderni e penne, no? No, voglio qualcosa che sia mio.

Dorme sotto una trousse piena di smalti, Snoopy. E' ancora lì che aspetta di essere usato. In valigia, subito.

A volerla vedere, c'è una metafora in tutto questo.
Forse due. Magari tre. Quattro, infondo.

Questo quaderno sono io. Sono io che aspetto di vivere.
Oppure è la mia vita sentimentale intonsa.
Oppure è la prova che di uomini interessanti non ce ne sono.
Oppure, e io sono propensa a pensarla così, è solo un quaderno che è ora di usare, perché le parole sono importanti [cit.]

martedì 8 novembre 2011

Sogni risplendono

(ovvero l'aggiornamento che farei a mia madre se navigasse in rete)
Le giornate qui finiscono presto: inizi la giornata con una tazza di caffè, ti giri ed è sera in un attimo. Te lo fanno apposta.
Mi confonde un po' quest'arricciamento del tempo, "ci vediamo stasera" nella mia testa è verso le nove, ma qui si parla della birretta delle sei e mezza.
Sabato sera sono uscita, dopo il lavoro - perché ho già trovato un lavoro - ho fatto un sacco di cose e alla fine sono tornata alle dieci e mezza a casa - perché ho già anche una casa - mica tardi.
Ho un sacco di tempo per annoiarmi, eh.

Sono a Cambridge da due settimane ed è quasi come se avessi sempre vissuto qui.
Va bene, c'è della spocchia in quest'ultima affermazione, ma si sta davvero bene, e direi che ci posso anche restare, per ora.
Il lavoro che ho trovato non è male: la commessa in un negozio di cartoline d'auguri, quel genere di attività che credo funzioni solo qui, con tutti quei fiocchetti, e sbrilluccichi, e cagnolini, e gattini, e maialini.
Le colleghe sono gentili, il manager non rompe eccessivamente le scatole, e non c'è, obiettivamente, di che spezzarsi la schiena.
La casa, o meglio, la stanza che ho affittato è in una casa in condivisione: sette estranei che condividono lo stesso tetto e la stessa cucina, tre bagni e un giardinetto.
I miei sei coinquilini sono gente un po' strana.
Quasi non li ho mai visti.
L'unica cosa che hanno in comune buona parte di loro è che non cucinano. Mai.
Il microonde e la lavatrice sono gli unici elettrodomestici che funzionano a ciclo continuo.
Spero non li scambino mai.
Stasera uno di loro era meravigliato del mio fare il brodo nel pentolino, facendolo bollire invece che a microonde.
Il brodo?
Gioia, no, non vengo da Marte.

Per il resto.. mah, io sono serena.
Ma non serena da "iperyuppy sono in Inghilterra!", serena da "ok, faccio cose, vedo gente".
Manco avessi vissuto in un altro posto per trent'anni.

per farvi un po' invidia, diciamolo



venerdì 14 ottobre 2011

Immigrant song

Della mia decisione di andarmene dall'Italia, ovvero uno dei miei buoni motivi.

Non voglio scrivere un ennesimo sproloquio sulla crisi, sulla difficoltà a trovare lavoro in Italia, sulla disoccupazione, solo raccontare come ho maturato questa decisione.
Scena I – INTERNO GIORNO. UFFICIO TASSE DELL'UNIVERSITA'.
Impiegata: “Mi spiace, ma il tuo reddito è troppo basso. Non puoi iscriverti. Quello che devi fare è ricalcolare il reddito in base alla dichiaraizone del responsabile del tuo mantenimento..”
Io: “Ma.. ce l'ha davanti. Sono io il responsabile del mio mantenimento”
Impiegata che sembra sinceramente dispiaciuta: “Eh, lo so..”
Guardo il mio cud: il Barbapapà,  l'essere umano orribile per cui ho lavorato per quattro anni di cui con fatica mi sono liberata, non ha dichiarato che un terzo del lavoro che ho fatto per lui. Già, il contratto a progetto non dice che ci ho messo dieci mesi invece dei tre che lui dichiara per concluderlo, così lui paga le tasse per tre mesi e i restanti setti me li prendo io nell'innominabile.
Scena II – INTERNO GIORNO, CASA MIA, SONO AL PC SENZA PAROLE.
Facebook instant messaging
Monica: “Hey! Che fai?”
Io: “Mah.. niente di che. Tutto ok?”
M.: “Stamattina ho conosciuto i ragazzi nuovi del bookshop.”
Io: “Ah, mi fa piacere che A. non abbia fatto neanche lo sforzo di comunicarmelo.. spero siano simpatici..”
M.: “Sono un ragazzo e una ragazza, più un terzo che fa qualche ora. Lui sembra di sì... Sai, i ragazzi di solito sono meno rompipalle... Lei  non so, vedremo..”
Io: “Boh, vi auguro che lo sia..”
M.: “Ma tu non provi a sentire A.?”
Io: “Ci ho provato, ma non mi ha risposto.. Non posso certo tempestarla di messaggi.. Anche D. avrebbe dovuto farmi sapere..”
M.: “Passerai comunque a trovarci?”
Io: “Mah, a dire il vero mi girano un po' le palle.. E' un mese che le chiedo di farmi sapere.. Ci fosse uno che mi risponde!”
Scena III – ESTERNO NOTTE, IN MACCHINA.
Stiamo rientrando, saranno le due di notte. Io e A. abbiamo appena finito di fare un inventario con altre persone, tutti vestiti uguali, tutti con il cartellino con il nome e la foto. Sono venti minuti di strada, per fortuna non c'è nessuno e faremo in fretta.
E' la terza volta che veniamo fin qui: prima un'ora di addestramento, poi la firma del contratto, ora il lavoro vero e proprio. Ah, tra un mese si viene a prendere l'assegno.
Quattro viaggi per 48 euro ed essere trattati con un po' di sufficienza se chiediamo l'accredito per evitare un altro giro e altri quaranta minuti di strada.

Fondamentalmente me ne vado perché mi sento presa per il culo.


lunedì 10 ottobre 2011

Uprising

Sono settimane che sto qui e rispondo sempre alle stesse domande:

parti? E cosa ci fai a fare? Ma e quando sei là cosa fai? Non hai provato a cercare qualcosa vicino a casa? O nelle regioni limitrofe? E la mamma? E i tuoi? E il gatto? E poi come fai se non ti trovi bene? E parti senza la certezza di un lavoro?

Ripeto le mie risposte a macchinetta così spesso che neanche mi chiedo più perché me lo stanno chiedendo, ho capito che chi strabuzza gli occhi stupito o non mi conosce oppure trova che io stia facendo una cosa che al mio posto non farebbe mai. Mai mai mai.

Faccio leggere spallucce e sospiro: “Eh”.

Sono qui a fare una rivoluzione della mia vita, a fare finalmente quello che ogni febbraio mi ripropongo di fare ma che non faccio mai, a cogliere un'occasione negativa (l'essere senza lavoro) e a rivoltarla per renderla positiva, a pensare a come impacchettare tutte le cose importanti per farle stare in una valigia max 20 kg e in un bagaglio a mano max 10 kg e a farmele bastare per non si sa bene quanto tempo, a fare i conti con un budget discretamente limitato e devo anche giustificarmi?

Quindi do risposte idiote.

Perché Cambridge? Perché no?