È
martedì sera e mi si chiudono gli occhi.
Sono
le 9 e sono ancora a lavoro.
Mi
piacerebbe essere ancora qui per l’estrema importanza della mia
posizione, importante a tal punto da richiedere la mia presenza ben
oltre l’orario d’ufficio.
E
invece no. Sono qui perché i delinquents hanno bisogno della balia
anche dopo cena, quando vengono a seguire corsi su come imparare a
pensare prima di tirare una sberla.
Quello
della receptionist per l’ufficio del Probation è un mestiere
interessante, certo, ma ammetto i logorio della vita moderna sarebbe
meno fastidioso del logorio della reception dei mancati galeotti, per
cui l’impegno principale di questi miei ultimi tempi è stato
compilare domande di lavoro – un bel cricetone bianco a spasso
sulla ruota a ripetere costantemente quanto io sia brava a fare
quello che loro
richiedono
che sia brava a fare.
Vivere
con i Britannici non è semplice, tanto meno lo è cercare di
farsi piacere abbastanza da assumerti: tu sarai sempre l’Italiana
pazza che arriva con i suoi modi di fare un po’ strani, il senso
dell’umorismo poco immediato e un accento buffo.
Non
ti capiscono, sei un’aliena.
Devo
ammettere che ora ho un punto di vista un po’ più ampio sulla vita
dell’immigrato in Italia: non è un cazzo facile.
Perché
te sei lì, con il tuo bagaglio di tradizioni, cultura, credenze,
convinzioni, anche luoghi comuni sul paese in cui sei appena
atterrato, e ti trovi questa folla incontrollata di sconosciuti che
ti passa ai raggi x basandosi sulle proprie convinzioni e sui propri
luoghi comuni e ti giudica.
Esattamente
come noi Italiani facciamo con gli stranieri che approdano in Italia,
qui sei in mutande davanti alla commissione giudicante per buona
parte del tempo.
E
sì, sono le mutande con l’elastico molle che ti ha comprato tua
madre, nel mio caso con i fiorellini rosa, ascellari e di cotone a
costine.
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