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giovedì 31 ottobre 2013

Sheena is a T-Shirt Salesman

A star bene a guardare, non ci sono buoni motivi per cui lagnarsi, in questo periodo. 
Lavoro, faccio cose, vedo gente. 
Certo, sono stati due mesetti tosti, questi ultimi, dal mio punto di vista. 
Il 15 di agosto ho festeggiato un anno di lavoro in Probation. 
Festeggiato si fa per dire: lavoro in una reception dove vengo, a settimane alterne, insultata perché, idiota io, faccio il mio lavoro. 
Diciamo che ho festeggiato facendo domanda per altri lavori, tra cui uno nel mio stesso ufficio, ma nel reparto amministrativo. 
Il risultato è stato pateticamente prevedibile, il lavoro è andato a qualcun altro. 
Motivazione: nel mio colloquio non ho fatto un preciso elenco dei documenti che produco ogni giorno, non sono stata abbastanza completa nel srotolare tutte le letterine, gli elenchini, i faxettini che escono dalla mia stampante grazie a queste mani fatate. 
E poi il lavoro è andato alla mia collega stronza, così’ quanto meno s’è tolta dai piedi. 
E io accumulavo stress: tensione da colloquio, tensione da faccia da agente dell’FBI che comunica la morte di un parente prossimo in una serie americana, quell’espressione misto “ti capisco” e “soffro con composto distacco con te” della mia capa, tensione da “mi sono proprio rottarcazzo di stopostodemmerda”. 
A fine settembre sono andata a Barcellona, e per due giorni interi ho anche pensato che restare sarebbe stata la scelta migliore: era festa, la gente era tutta presa bene, serena, festeggiante.. Una meraviglia! Adoro Barcellona e non penso mi stuferà mai.
Comunque sia, la vita procede, faccio progetti a medio termine, e sono sempre piuttosto affascinata dalla possibilità che ho di farli, frequento amici e colleghi.
Ho una vita, insomma - per me è una considerazione abbastanza eccezionale.




martedì 18 giugno 2013

I should have known

Ovvero, cosa è lecito testare sugli animali.

Qualche giorno fa finalmente, dopo scarse fortune procurate dalla mia cronica timidezza, incontro un giovane interessante essere di sesso opposto con cui esco una sera. 
La serata va bene, molto carina, molto primo appuntamento: cena, passeggiata tenendosi per mano, a bere ancora qualcosa, accompagnata a casa, bacio sulla soglia - e ci sentiamo spesso i giorni a venire in cui però il giovane è malato.
Sabato sera ritorna, si cena qui, lui sempre malato ma fa comunque questi 30 km che ci separano per vedersi e li ripercorre poi dopo cena per trascinarsi a casa nel suo letto di morte (gli uomini e la tragicità dell'influenza) per cui mi sento abbastanza autorizzata ad essere ottimista.
Domenica all'ora di pranzo ci sentiamo come stabilito, e lui mi dice che ci ha pensato, che non pensa possa funzionare tra noi perché non c'è chimica.
Evidentemente non serve la chimica per schiantarmi tre etti di lingua in bocca.
Fatto sta che a lui piaceva Spiderman e il mio supereroe preferito è sempre stato Batman, perché è passionale e non è obbligato dai superpoteri che si trova tra le costole ad essere un supereroe, non soccombe agli eventi, lui lo è perché lo ha scelto. 
E poi io adoravo la serie tv degli anni 60, con tutti quei "POW!" e le mutande sopra la calzamaglia.
Spiderman invece è un supereroe un po' paraculo: fondamentalmente uno sfigato che per caso si ritrova figo di colpo. Una vittima degli eventi. Tutti bravi a fare i fenomeni quando un ragno ci elettrizza la vita.
E poi ad Harry non è piaciuto.
Harry è il gatto dei miei vicini che ho affascinato con il mio affetto, una coperta in pile sempre disponibile sul divano e tanto cibo buono che spesso viene a casa mia per dormire in santa pace, dato che convive con altri due gatti che credo gli diano del filo da torcere.
Harry ha sedici anni, è un gatto di grande esperienza, capisce che aria tira con la punta delle vibrisse, e il giovane non gli è andato a genio subito, appena è entrato dal cancello.

Avrei dovuto tenerne conto.


Or what it's legitimate to be tested on animals.

Finally, a few days ago, after very low luck caused by my chronic shyness, I met a young interesting human being of opposite sex to go on a date with.
The night went well, very nice, very "first date": dinner, walk hand in hand, something to drink afterward, he walks me home and we kiss on the doorstep. We heard from each other quite often for the next days when he is ill. 
Saturday night he came back, we had dinner here, he was still sick, but he drove the 30 km between us anyway and drove back after dinner to his deathbed (tragic men's flu) so I feel quite authorized to be optimistic.
At lunch time, on Sunday, we heard from each other as agreed, and he told me that the thought about it, that he thinks that what we have isn't going to work because there is no chemistry.
Evidently, chemistry is overrated when you smash three hundred grams of tongue in my mouth.
The point is that he likes Spiderman, and my favourite superhero has always been Batman, because he is passionate and he isn't forced by superpowers found on his way to be a superhero, he doesn't give in with the events, he is a superhero because he chose to be one.
And I adored the 60's tv serie with all those "POW!" and the panties over the tights.
Spiderman, on the other side, he is a bit cheeky: fundamentally, he is a nerd that by chance finds himself cool. A victim of events. We're all good to be phenomenal when a spider makes our life electric.
And Harry didn't like him.
Harry is my neighbour's cat, that I charmed with my love, a pile blanket available on the couch and loads of good food and that often comes to my house to sleep in peace, because he lives with two other cats that I believe are quite difficult to live with.
Harry is 16, he is very experienced, he understand how it goes with the tip of his feelers, and the young didn't suit him immediately he came in from the gate.
I should have considered it.



venerdì 1 marzo 2013

Burn


Arriva il buio, alla fine. La luce resiste, si fa forza e non si lascia sopraffare, ogni giorno tiene duro un minuto in più.
Cammino godendomi questo regalo dalla stagione che passa, cerco di prendere fiato.
Lavoro con quella porzione di umanità che stenta a crescere, che si rivela nel suo peggio e che si affaccenda a spese altrui, che manca di empatia e di cura e addirittura infierisce nei confronti di chi ha attorno.
Come si fa a non farsi attraversare dalle storie delle persone? 
Come si fa a non fondersi anche solo marginalmente dalle esistenze che ti si avvicinano ogni giorno?
E' stata una settimana complicata, questa. 
Come il raffreddore quando sei molto stanco: peggio di quello che è realmente solo perché le tue difese sono basse e non funzionano bene.
Sono esausta, emotivamente disidratata.
Una di quelle settimane in cui è necessario ricordarmi i buoni motivi che mi hanno fatta intestardire nel tenermi questo lavoro.
E' il venerdì delle mie forze, è la fine giornata della mia empatia.

The night comes, in the end. The light lasts, keeps up and doesn't give up, every day holds out a minute more.
I walk enjoying this gift from this season that goes, I try to breathe.
I work with that bit of humanity that finds growing hard, that reveals its worst and keeps busy at expense of others, that misses empathy and care and even rages against those around them.
How could you avoid being crossed by other people's stories?
How could you avoid blending even marginally with the lives that come close to you every day?
It has been a very difficult week..
As if you catch the cold when very tired: worst than how it really is, only because your defenses are low and don't work properly.
One of those weeks in which it's necessary to remind the good reasons why I have been so stubborn keeping this job.
It's the Friday of my strength, the end of the day of my empathy.


domenica 13 gennaio 2013

Kings and Queens


Eeeeh buon anno!
Finalmente un anno tutto nuovo, ancora da spacchettare..
Siamo a gennaio ed è passato uno sfacelo di tempo dall'ultimo aggiornamento.
Si era rimasti con una nuova casa, un nuovo lavoro e una situazione più stabile: abbandonata la casa dei Gigantor, mi sono trasferita dall'altra parte della strada, in una casa meno affollata, con un bulgaro pazzo che mangiava in piedi sei uova alla volta e che quando se n'è andato s'è portato via tutti i cucchiai, il cui padrone era un ometto cinese con i denti sporgenti e gli occhiali spessi, che passa almeno una volta la settimana a pulire i fornelli e a sedersi in giardino a fissare la pianta di pere.
Sono durata poco qui, una volta spedito il bulgaro pazzo, il tizio che è arrivato aveva il brutto vizio di friggere alle dieci di sera, inondando la casa di olezzi nauseanti e di occupare il bagno costantemente, per cui ho imbustato i miei stracci e ho preso casa per conto mio.
E' un appartamento modesto, una casetta in un giardino, una stanza con bagno e cucina, molto carina, essenziale e soprattutto solo mia. Niente gente che va e viene, cibo che sparisce o sudiciume che appare, moderato ordine che resta, silenzio, pace, che questa casa non è un albergo e la mia vita da vecchia befana brontolona è solo mia.
Tra un trasloco e l'altro ho acquisito un secondo lavoro: finivo al museo verso l'una, e alle due iniziavo a lavorare come receptionist per l'ufficio locale del Probation Trust.
Eccheccos'è il probationtrust?! Per la legislazione locale, una volta che commetti un crimine, il giudice può decidere di non mandarti al gabbio e lasciarti in libertà vigilata, come nei film americani degli anni novanta, e una volta a settimana ti tocca la supervisione, magari anche del servizio civile a zappare aiuole perché, mio bel cretinone, se decidi di ararle con i copertoni della golf mentre guidi sbronzo, ripaghi la comunità con le manine sante. Essere in libertà vigilata si dice essere “in probation”, e il probationtrust è l'ente che si occupa dei cretinoni.
Quello che faccio io è abbastanza operativo: sono in reception, per cui quando arrivano per la supervisione li registro e chiamo la persona con cui hanno l'appuntamento, rispondo al telefono e mi sorbisco le loro lagne, spedisco loro lettere minacciose e altre noiosità da ufficio.
Il lavoro mi piace, piuttosto impegnativo, certo, ma interessante, l'unica nota negativa è la megastronza che lavora con me: stronza perché presuntuosa e invadente, non c'è un minuto in cui si faccia gli affari propri tanto da avvicinarsi alla mia scrivania per vedere cosa c'è scritto sui fogli che ci lascio, ma megastronza perché non tace mai. Mai mai mai. Ha continuamente bisogno di vomitare le cazzate che le nuotano nella scatola cranica, filtrandole unicamente per gradi di meschinità a seconda di chi ha davanti: la lamentela su un errore di un collega esce solo con il capo, mentre puntualizzare quanto è stata brava a parlare con il capo esce solo con colleghi compiacenti.
La megastronza si è affezionata alla vecchia receptionist che è stata mandata in amministrazione, per cui ogni visita giù da noi era una specie di festa per ricordarle quanto le manca. Ovviamente davanti a me.
La faccia di gesso che ha fatto quando è venuta a sapere che questa da lunedì cambia lavoro è stata impagabile.
Intanto il lavoro al museo è finito, ieri era l'ultimo giorno, e devo dire che mi è spiaciuto salutare quella simpatica banda di burloni: un sacco di abbracci e raccomandazioni, una cartolina per salutarmi che quasi mi facevano commuovere. Meno male che siamo andati a bere dopo.
A questo punto direi che la risposta a “Come vanno le cose?” è “Molto bene, grazie”. 
E sabato torno in Italia!



venerdì 31 agosto 2012

No one knows


mercoledì 6 giugno 2012

Canto nazionale

Dell'Italia mi mancano le sagre e le feste della birra, il piccolo palco allestito nella piazzetta del paese o sul cemento del campo sportivo, i bicchieri di plastica, la birra gelata e il fritto misto.
Dell'Italia mi manca uscire e andare dal panettiere per il pane e uscirne con la focaccia dolce, e ancora meravigliarmi che appena fuori dalla mia zona neanche sappiano che esiste una focaccia dolce.
Dell'Italia mi manca che la cucina sia la stanza più importante della casa.
Dell'Italia mi manca la dinamicità della lingua, l'essere poetiche cose lontanissime dalla poesia.
Dell'Italia mi mancano le colline, le strade di campagna e le tangenziali, la guida a destra e i semafori rosso-verde-giallo-rosso e non tutto il giallo che usano qui.
Dell'Italia mi manca tutta quell'ansia di non essere riconosciuti come Italiani ma arrabattarsi per essere il più cosmopolita possibile.
Dell'Italia mi mancano i ciddì di gruppi italiani che non avevo mai sentito e che sono effettivamente bravi, e che, guarda un po', suonano qui vicino la settimana prossima.
Dell'Italia mi manca la colazione al bar, i free press e i sampietrini, le città d'arte in cui dopo le cinque c'è ancora vita.
Dell'Italia mi manca l'aperitivo, l'happy hour, la Menabrea, il vino rosso.
Dell'Italia mi manca vedere i giocatori della Nazionale di Rugby che cantano l'Inno sapendo tutte le parole.
Ho passato il due giugno come fosse un giorno normale, lavorando e parlando con la gente, pensando che era il due giugno, festa della Repubblica, e che in questi sette mesi gli Italiani, che avrebbero dovuto festeggiare, hanno proprio passato un periodo di merda, e che l'essere partita non me l'ha fatto dimenticare.

Of Italy, I miss town and beer festivals, the small stage mounted in the small town square or on the cement pavement of the sport centre, the plastic glasses, the icy beer and the fish fry.
Of Italy, I miss going to the baker to buy bread and coming back with sweet focaccia, and still being surprised that out of town nobody knows about the sweet focaccia.
Of Italy, I miss that the kitchen is the most important room in the house.
Of Italy, I miss the dynamic language, being poetic things so far from poetry.
Of Italy, I miss the hills, the country roads and the ring roads, driving on the right side and the traffic lights red-green-yellow-red and not all the yellow used here.
Of Italy, I miss the anxiety not to be recognized Italians but getting by to be the most cosmopolitan possible.
Of Italy, I miss cd's of Italian bands I've never heard of that are actually good, and, hang on a minute, they're going to play not far from here next week.
Of Italy, I miss breakfast at the café, freepress magazines and the cobblestones, the cities of arts where after 5pm there's still life around.
Of Italy, I miss aperitivo, happy hour, Menabrea beer, red wine.
Of Italy, I miss the National Rugby Team players singing the national anthem knowing all the words.
I spent 2nd June like it was a normal day, working and talking with people, thinking it was 2nd June, Republic National Feast, and during these seven months Italians, who should have celebrated, had a truly shitty period, and being away didn't make me forget it.


sabato 10 marzo 2012

It's been awhile

In questi giorni ho compiuto gli anni, tralascio il quantitativo per non doverci pensare troppo.
Non ho fatto feste o cene o altro, perché mi conosco, è un guaio che ho passato già un sacco di volte: organizzo la mia festa di compleanno, preparo da mangiare, faccio la torta, invito gli amici, sorrido, scherzo, brindo.. E provo l'irrefrenabile desiderio di prendere la porta e andare da un'altra parte.
Davvero.
Lasciare tutti a godersi la festa mentre io me ne vado su un tetto con una fetta di torta e una sigaretta a godermi la pace e il silenzio.
Non è una segona mentale sull'età, sugli anni che passano, sulle rughe o l'invecchiare, eh.
Le mie feste mi annoiano, tutto qui: mi piace organizzarle ma non partecipare.
Quindi, comunque sia, data anche la scarsità di possibili invitati, quest'anno è passato un po' in sordina, fatta eccezione per la torta che ci siamo sbranati una sera.
Quello che mi fa riflettere dei compleanni sono sempre i regali, trovo che siano una cartina tornasole della nostra presenza nel mondo, sono il segnale di come gli altri ci vedono.
Quest'anno ho ricevuto delle tazzine da caffé molto belle e colorate con un sacco di caffé, cioccolatini, una bottiglia di vino e altri cioccolatini.
Adorabili.
Mi fanno pensare che la gente mi possa vedere bisognosa di affetto e coccole. 
Oppure come una che sa godersi la vita e propensa ai piaceri del palato.
Tutta questa riflessione nasce e si arrotola attorno ad un compleanno di un milione di anni fa, in cui i miei amici mi regalarono due libri che conservo ancora, da qualche parte: “Sola come un gambo di sedano” e “Compagno di sbronze”.
Capite bene che sono titoli che ti fanno riflettere, quando li ricevi.



domenica 1 gennaio 2012

Panic (on the streets of London)

Primo gennaio, mezzanotte e rotti.
In sottofondo, un sacco di petardi che scoppiano.
Ho guardato un paio di film in quest'ultimo dell'anno, non sono uscita, non sono andata a nessuna festa, non ho proprio messo il naso fuori di casa.
E' che sono un po' prevenuta, preferisco aspettare e magari festeggiare il capodanno cinese, a febbraio, quando magari mi sarò fatta un'idea di come sarà quest'anno nuovo che inizia, un'idea di come gireranno le cose..
Festeggiare ora mi pare prematuro, ecco.
Come ogni anno ho cercato di evitare l'elenco dei buoni propositi, non voglio dare al mio censore interno, alla beghina che mi abita dentro buoni motivi per biasimarmi, quando, a metà giugno, il mio elenco sarà intonso e non ci sarà nessun proposito realizzato. Preferisco cogliere la vecchia di sorpresa e spernacchiarla ogni volta che raggiungerò un obiettivo che non sa che mi sono posta, senza permetterle di farmi esondare frustrazione.
L'unica cosa che mi riprometto in questo mio trentaduesimo è di prenderla bassa, di non farmi cogliere dall'ansia da prestazione e di entrare nelle cose con un atteggiamento morbido, rilassato, tanto il risultato non cambia.
Ma non è un buon proposito per l'anno nuovo, è un buon proposito per il resto della mia vita, la beghina non potrà batter cassa tra dodici mesi (ti ho fregato, antica meretrice!).
Posso però esprimere desideri:
  • vorrei cambiare lavoro: è carino fare la commessa in un negozio di cartoline d'auguri.. ma magari un lavoro da adulto sarebbe più consono.. infondo..
  • vorrei cambiare casa: i pazzi sono divertenti, ma non quando ad ogni ora e con ogni clima lasciano tutte le finestre aperte;
  • vorrei trovare un uomo: che dire? Sono carne e sangue, mica segatura.. Lavorerò sulla lista delle condizioni sine qua non per renderla affrontabile.
Ok, anche la pace nel mondo, la risoluzione dei conflitti, il risanamento dell'economia italiana e la democrazia in Italia.. ma i miracoli non sono di mia competenza.



sabato 10 dicembre 2011

Candy perfume girl

 Allora, voglio rassicurare quelli che si chiedono come stia andando qui, nella perfida Albione: va tutto bene, serenamente, placidamente bene.
Placidamente perché questo è il paese dell'attesa: si aspetta l'autobus (in orario), si aspetta il proprio turno in una coda ordinata, si rimane sospesi all'attimo prima che la vita cominci, per cui ho pensato che sarebbe carino mettere a frutto questo tempo regalatomi da Sua Maestà per dare concretezza alle mie risorse.
Ancora non so bene come, ma quest'iniezione di ottimismo inaspettata non va sprecata così, senza cogliere l'attimo, senza approfittare del 3 x 2 al reparto soluzioni alternative che questo paese mi offre.
Per il resto.. beh, sì, casa mi manca, mi mancano le persone, mi mancano le mie comodità quotidiane, mi manca il mio gatto che a quanto mi dicono è lievitato come il panettone verso il 23 dicembre, ma no, non ci torno per Natale, sono appena arrivata, non voglio mica fare la felicità di Ryanair e l'infelicità del mio conto in banca tutto nuovo.
Vivo con gente buffa, ovviamente. Una ragazza francese che dopo sei anni sopravvissuta qui forse parte per Miami o per la Thailandia, una coppia di ragazzi di cui percepisco la presenza giusto ogni tanto, un'ingegnere elettronico indiana incapace di cucinare e la famiglia Gigantor.
La famiglia Gigantor è un terzetto, padre, madre e figlio, che mi ricorda tanto la favola dei tre orsi, solo che io non sono Riccioli d'oro e non rubo loro la minestra o dormo nei loro letti.
Li chiamo così perché sono giganti: non che dal mio metro e una carota il resto del mondo non sia già più alto, ma questi sono davvero enormi. Tutti e tre. E sono sempre molto circospetti.
La mamma è già più socevole, saluta quando entra e quando esce dalla cucina e ogni tanto facciamo due parole, il figlio mi chiama “madam” e vorrei tanto prenderlo a martellate quando lo fa, ma non posso, è gigante, anche se sembra terrorizzato dal mio avvicinarmi, e poi c'è lui, papà Gigantor, l'uomo con più opinioni della terra.
Lui odia stare in Gran Bretagna, ma non ho capito bene perché non può andarsene, per cui si lagna. E si lagna del vivere in comune. E si lagna del fatto che gli altri siano sporchi – non che lui sia l'emblema dell'igiene, eh. E si lagna che qui la gente è antipatica e maleducata. E si lagna che nessuno gli trova lavoro. E si lagna che fa freddo.
Quando non si lagna, esamina quello che fai: il primo giorno in cui ho portato fuori la mia spazzatura, ha controllato che facessi la differenziata correttamente.
E' lo stesso genio che non capisce perché io faccia il brodo nel pentolino e non a microonde. O perché io mi ostini a cuicinare. O perché io mangi “solo” il salmone con il pane quando potrei sfondarmi di salsicce fritte.
A parte questo, tutto bene.

venerdì 18 novembre 2011

Silent All These Years

Sono qui per raccontare una storia.
Una storia piccola, di molto tempo fa.
Una storia che non ho mai raccontato a nessuno fino ad ora.
Una storia che inizia, come tutte le mie storie di qualche interesse, con un viaggio.

1995 - Jerez de la Frontera, Spagna.
Non so come sia ora, ma io mi ricordo una città assolata, calda e chiassosa.
Mi ricordo le palme, alti palazzi grigi e un vicolo in cui dei ragazzi danesi ubriachi importunavano le passanti.
Mi ricordo la terra riarsa fuori dal centro città, dove tra le isole di costruzioni c'erano solo cespugli e le nostre facce sudate.
Mi ricordo le spedizioni a comprare il ghiaccio in sacchettoni e i botéllons nei parchi con la musica improvvisata e la voglia di vivere spagnola.

A Jerez c'era un centro commerciale Continente dove ho comprato due cose che ancora mi accompagnano.
Una copia di "Little Earthquakes" di Tori Amos in vinile e un quaderno di Snoopy.
Tornata a casa, credo di aver ascoltato immediatamente il disco, per poi dimenticarmene e riscoprirlo anni dopo, mentre ho messo via il quaderno. 
Ho deciso di lasciarlo così, intonso, perché, al contrario di quel che potrebbe sembrare, o, addirittura in perfetta coerenza con la mia immagine, ho un animo profondamente romantico.
A quindici anni ho comprato un quaderno che avrei usato con una persona speciale, con il mio "lui" speciale.
Già propensa alla fantasticheria interstellare, avevo quest'idea di trovare un ragazzo a breve, di innamorarmene, di essere amata, e di aver bisogno di uno spazio solo nostro per scambiarci parole esclusive, preziose, di necessitare di una testimonianza concreta dei nostri sguardi e dei nostri sogni.

2011 - BigCake, Provincia borderline, appena sotto il grande fiume, Italia

La casa tace e sono le tre del mattino.
Mi fumo l'ultima e vado a dormire, tanto quel che fatto è fatto.
La valigia è aperta ma ci metto un secondo a chiuderla domattina.
Non devo dimenticarmi i libri, non devo dimenticarmi i biglietti, la carta d'identità.
Domani è il primo giorno della mia nuova vita, non ci posso arrivare senza un pezzo.
Ho bisogno di qualcosa su cui scrivere. Che cosa avrò da scrivere ancora, poi, lo so solo io. Ho il portatile, in Gran Bretagna venderanno quaderni e penne, no? No, voglio qualcosa che sia mio.

Dorme sotto una trousse piena di smalti, Snoopy. E' ancora lì che aspetta di essere usato. In valigia, subito.

A volerla vedere, c'è una metafora in tutto questo.
Forse due. Magari tre. Quattro, infondo.

Questo quaderno sono io. Sono io che aspetto di vivere.
Oppure è la mia vita sentimentale intonsa.
Oppure è la prova che di uomini interessanti non ce ne sono.
Oppure, e io sono propensa a pensarla così, è solo un quaderno che è ora di usare, perché le parole sono importanti [cit.]

martedì 8 novembre 2011

Sogni risplendono

(ovvero l'aggiornamento che farei a mia madre se navigasse in rete)
Le giornate qui finiscono presto: inizi la giornata con una tazza di caffè, ti giri ed è sera in un attimo. Te lo fanno apposta.
Mi confonde un po' quest'arricciamento del tempo, "ci vediamo stasera" nella mia testa è verso le nove, ma qui si parla della birretta delle sei e mezza.
Sabato sera sono uscita, dopo il lavoro - perché ho già trovato un lavoro - ho fatto un sacco di cose e alla fine sono tornata alle dieci e mezza a casa - perché ho già anche una casa - mica tardi.
Ho un sacco di tempo per annoiarmi, eh.

Sono a Cambridge da due settimane ed è quasi come se avessi sempre vissuto qui.
Va bene, c'è della spocchia in quest'ultima affermazione, ma si sta davvero bene, e direi che ci posso anche restare, per ora.
Il lavoro che ho trovato non è male: la commessa in un negozio di cartoline d'auguri, quel genere di attività che credo funzioni solo qui, con tutti quei fiocchetti, e sbrilluccichi, e cagnolini, e gattini, e maialini.
Le colleghe sono gentili, il manager non rompe eccessivamente le scatole, e non c'è, obiettivamente, di che spezzarsi la schiena.
La casa, o meglio, la stanza che ho affittato è in una casa in condivisione: sette estranei che condividono lo stesso tetto e la stessa cucina, tre bagni e un giardinetto.
I miei sei coinquilini sono gente un po' strana.
Quasi non li ho mai visti.
L'unica cosa che hanno in comune buona parte di loro è che non cucinano. Mai.
Il microonde e la lavatrice sono gli unici elettrodomestici che funzionano a ciclo continuo.
Spero non li scambino mai.
Stasera uno di loro era meravigliato del mio fare il brodo nel pentolino, facendolo bollire invece che a microonde.
Il brodo?
Gioia, no, non vengo da Marte.

Per il resto.. mah, io sono serena.
Ma non serena da "iperyuppy sono in Inghilterra!", serena da "ok, faccio cose, vedo gente".
Manco avessi vissuto in un altro posto per trent'anni.

per farvi un po' invidia, diciamolo



venerdì 14 ottobre 2011

Immigrant song

Della mia decisione di andarmene dall'Italia, ovvero uno dei miei buoni motivi.

Non voglio scrivere un ennesimo sproloquio sulla crisi, sulla difficoltà a trovare lavoro in Italia, sulla disoccupazione, solo raccontare come ho maturato questa decisione.
Scena I – INTERNO GIORNO. UFFICIO TASSE DELL'UNIVERSITA'.
Impiegata: “Mi spiace, ma il tuo reddito è troppo basso. Non puoi iscriverti. Quello che devi fare è ricalcolare il reddito in base alla dichiaraizone del responsabile del tuo mantenimento..”
Io: “Ma.. ce l'ha davanti. Sono io il responsabile del mio mantenimento”
Impiegata che sembra sinceramente dispiaciuta: “Eh, lo so..”
Guardo il mio cud: il Barbapapà,  l'essere umano orribile per cui ho lavorato per quattro anni di cui con fatica mi sono liberata, non ha dichiarato che un terzo del lavoro che ho fatto per lui. Già, il contratto a progetto non dice che ci ho messo dieci mesi invece dei tre che lui dichiara per concluderlo, così lui paga le tasse per tre mesi e i restanti setti me li prendo io nell'innominabile.
Scena II – INTERNO GIORNO, CASA MIA, SONO AL PC SENZA PAROLE.
Facebook instant messaging
Monica: “Hey! Che fai?”
Io: “Mah.. niente di che. Tutto ok?”
M.: “Stamattina ho conosciuto i ragazzi nuovi del bookshop.”
Io: “Ah, mi fa piacere che A. non abbia fatto neanche lo sforzo di comunicarmelo.. spero siano simpatici..”
M.: “Sono un ragazzo e una ragazza, più un terzo che fa qualche ora. Lui sembra di sì... Sai, i ragazzi di solito sono meno rompipalle... Lei  non so, vedremo..”
Io: “Boh, vi auguro che lo sia..”
M.: “Ma tu non provi a sentire A.?”
Io: “Ci ho provato, ma non mi ha risposto.. Non posso certo tempestarla di messaggi.. Anche D. avrebbe dovuto farmi sapere..”
M.: “Passerai comunque a trovarci?”
Io: “Mah, a dire il vero mi girano un po' le palle.. E' un mese che le chiedo di farmi sapere.. Ci fosse uno che mi risponde!”
Scena III – ESTERNO NOTTE, IN MACCHINA.
Stiamo rientrando, saranno le due di notte. Io e A. abbiamo appena finito di fare un inventario con altre persone, tutti vestiti uguali, tutti con il cartellino con il nome e la foto. Sono venti minuti di strada, per fortuna non c'è nessuno e faremo in fretta.
E' la terza volta che veniamo fin qui: prima un'ora di addestramento, poi la firma del contratto, ora il lavoro vero e proprio. Ah, tra un mese si viene a prendere l'assegno.
Quattro viaggi per 48 euro ed essere trattati con un po' di sufficienza se chiediamo l'accredito per evitare un altro giro e altri quaranta minuti di strada.

Fondamentalmente me ne vado perché mi sento presa per il culo.


lunedì 10 ottobre 2011

Uprising

Sono settimane che sto qui e rispondo sempre alle stesse domande:

parti? E cosa ci fai a fare? Ma e quando sei là cosa fai? Non hai provato a cercare qualcosa vicino a casa? O nelle regioni limitrofe? E la mamma? E i tuoi? E il gatto? E poi come fai se non ti trovi bene? E parti senza la certezza di un lavoro?

Ripeto le mie risposte a macchinetta così spesso che neanche mi chiedo più perché me lo stanno chiedendo, ho capito che chi strabuzza gli occhi stupito o non mi conosce oppure trova che io stia facendo una cosa che al mio posto non farebbe mai. Mai mai mai.

Faccio leggere spallucce e sospiro: “Eh”.

Sono qui a fare una rivoluzione della mia vita, a fare finalmente quello che ogni febbraio mi ripropongo di fare ma che non faccio mai, a cogliere un'occasione negativa (l'essere senza lavoro) e a rivoltarla per renderla positiva, a pensare a come impacchettare tutte le cose importanti per farle stare in una valigia max 20 kg e in un bagaglio a mano max 10 kg e a farmele bastare per non si sa bene quanto tempo, a fare i conti con un budget discretamente limitato e devo anche giustificarmi?

Quindi do risposte idiote.

Perché Cambridge? Perché no?




giovedì 22 settembre 2011

Calda estate (dove sei)

Ovvero le otto cose da non fare (o che sarebbe meglio fare) in Irlanda arrivando dal Bel Paese;
Ovvero otto delle mie tappe irlandesi di quest'estate.

1- Fidarsi della guida, ma non ciecamente (vedi punto 6).
Se vi siete presi il disturbo di ignorare la vecchia guida usata da vostro zio "signorino" per la vacanza in moto nel 1967, quella, per capirci, che segnala gli stripclub sulle mappe con una stellina, e siete entrati in libreria per comprare una guida turistica, leggetela.
No, non basta guardare le figure e i siti web per i Bed&Breakfast: so che pensate di non averne bisogno, che cosa vorrà mai saperne uno scrittore di guide turistiche? Beh, più di voi di sicuro, perciò leggetela.
Così magari vi eviterete le ventiquattr'ore più insipide della vostra vita a Cork, la mia prima tappa, scelta perché "alternativa"..

2- In Irlanda niente è davvero "alternativo".
La vostra geniale idea di tappa fuori dai percorsi battuti dal turismo di massa sarà già stata quanto meno segnalata e illustrata su un dépliant, ma questo non la renderà meno interessante: prendete pure il pullman per Glengariff, Casteltownbere o qualche altro paesino dal nome buffo, non mancherà di sorprendervi.

3- La vita (sobria) finisce alle 17:00.
Alle 17:05 per strada ci saranno solo covoni di paglia (umida di pioggia) mossi dal vento e porte che si chiudono. Per scorgere altri esseri viventi, conviene fare un salto al pub o fare amicizia con le mucche.
Quelle delle rovine dell'Abbazia di Cashel sono discretamente socievoli.

4- Abbattete la timidezza e ubriacate pure di domanda i gentili impiegati dell'ufficio turistico.
Saranno sempre felicissimi di aiutarvi. Se non capite qualcosa, non si renderanno più comprensibili, ma si ripeteranno all'infinito. E vi aiuteranno a risolvere qualsiasi problema organizzativo.
Penso che porterò all'impiegata dell'ufficio del turismo di Kilkenny la mia dichiarazione dei redditi dell'anno prossimo.

5- Dublino sta all'Irlanda come vostra suocera a tutte le altre donne del pianeta.
Come la suocera non è una donna, ma una fiera a tre teste assetata di sangue, a Dublino non troverete simpatici buontemponi dalle guance rubizze ad accogliervi come nel resto del paese.
Certo, alle 17:05 la gente sarà ancora in giro e i negozi saranno aperti, ma il dublinese m'è parso un po' stufo del turista. Infondo voi siete in vacanza, lui no.

6- Non fatevi prendere dalla frenesia del "DEVO vedere TUTTO!"
Non si può. Punto.
O avete almeno tre mesi, l'american express in fogli di diamante e i piedi di un hobbit, oppure rassegnatevi, non potrete vedere ogni singola attrattiva di questo meraviglioso paese. Ce ne sono troppe! E, a dire il vero, non tutte valgono la fatica, come il Castello di Dunboy, vicino a Castletownbere, che non vale certo cinque chilometri sotto una moderata pioggerella all'andata e altri cinque sotto il fottuto tsunami al ritorno fatti a piedi, con una maglia di cotone addosso e basta (vedi punto 8), essendo costituito da quattro sassi e tanto prato.
Molto meglio la Bera Island, nella stessa baia, proprio davanti al Castello, ignorata però dalla (mia) guida (ecco perché non fidarsene ciecamente!).

7- Prendetevela bassa.

Non vale la pena farsi un tour de force assurdo per dire "ci sono stato" o per fare le foto più fighe. E guardate i posti che visitate, non aspettate di essere a casa davanti al pc per vederli sul vostro bel 21' ultrapiatto! Siete ora in Irlanda, non ci sarete più il primo settembre, ma sarete in ufficio a fingere di che il vostro capo non abbia un alito demoniaco!
Mettete giù quelle macchinette: si fan tante battute sui Giapponesi in vacanza, e gli unici pecoroni che ho incrociato alla Rocca di Cashel che non facevano altro che fotografare (anche i pannelli che coprivano le impalcature dei restauratori!) erano Italiani!

8- La valigia intelligente
.
Il mio consiglio è: visto che vale la pena spostarsi spesso, portate il meno possibile. Che non significa una mutanda ogni tre giorni, ma neanche tre outfit completi per ogni giornata di permanenza.
E non dimenticate a casa il k-way, o la giacca a vento, o anche solo la mantellina impermeabile, altrimenti - come la sottoscritta - avrete innumerevoli occasioni per pentirvene e infiniti anatemi da scagliare al cielo grigio, mentre magari state scarpinando per il sentiero che gira attorno ai laghi di Glendaloch, bagnati come pulcini, convinti che, abbandonati alla fatica e agli stenti, scivolerete in quel pantano freddo e ritroveranno le vostre spoglie a primavera di un anno indefinito, quando i vostri vestiti saranno passati di moda. 

la mia amica uacca di Cashel

mercoledì 10 agosto 2011

Cornflake girl

Un anno fa ero esattamente al punto in cui sono ora: in procinto di partire.
E vado nello stesso posto!

I sogni sono rimasti gli stessi.. ma non mi sento come cristallizzata. C'è stata un'evoluzione, una liberazione: più libri letti, alcune cose imparate, il gatto è cresciuto.

Ora sono ancora seduta sul divano, è la prima volta che parto tanto tardi da potermi godere il pranzo a casa e un paio di puntate di serial tv prima del volo.

La vera differenza, rispetto all'anno scorso, è che non so davvero se torno a questo giro.



sabato 6 agosto 2011

Diamonds on the inside

Mi piace Ben Harper, mi piace così tanto da decidere di andare a sentirlo suonare all'Arena Civica a Milano, qualche settimana fa.
Scrive canzoni meravigliose, poetiche e piene di energia, con testi impegnati, mai banali: lo odio.
Lo odio perché nella realtà un uomo così non esiste: impegnato, sensibile, con una voce pazzesca e un sorriso luminoso, il tutto montato su un corpo da leggero malore.
Non esiste uno che puoi trovare solamente in un letto bianco, baciato dall'alba che accarezza i capelli della sua donna e l'abbraccia e le sussurra quelle frasi dolci, piene di amore e di speranza.
Non esiste nel mondo reale, rassegnamoci, il mondo reale è pieno di stronzi.
Perché io non voglio pensare che Ben Harper al microfono, alla chitarra, all'ukulele suoni e canti come fa e poi possa macchinare piani diabolici e di sconfinata presunzione a danno di una donna, lui ama la sua donna, lui le dice che niente suona come sentire il suo nome (“Waiting for you”), lui la celebra, dannazione!
Non voglio pensare che le racconti fregnacce per portarsela a letto, voglio dire, lui è Ben Harper, gli basta alzare un sopracciglio, ma quel sopracciglio pieno di parole meravigliose, e di musica suadente e.
Perciò ho arbitrariamente deciso che no, Ben Harper queste cose non le fa, che Ben Harper è corretto, maturo, generoso e rispettoso della sua donna, che non ha niente a che fare con la realtà terrena, Ben Harper vive nel limbo degli uomini irreali.
Purtroppo, molto reali e molto cafoni, invece, erano i geni attorno al mio gruppo-vacanze Piemonte (io, il mio Pigbrother, la cognatuzza, l'amica della mia cognatuzza, e il mio bioamico S.) che hanno sprecato un'ennesima, ne sono certa, ottima occasione per fare bella figura tacendo, stando a  chiacchierare di minchiate per metà concerto, al paio di quelli che sul pezzo cantato senza musica e senza microfono da Ben “polmoni d'acciaio” Harper  hanno intonato canzoncine e coretti da asilo nido.
E poi ti chiedi perché le donne nella realtà sono disilluse.



mercoledì 13 luglio 2011

Madness of love

Di jazz capisco veramente poco, in generale, di musica “alta” capisco poco: jazz, blues, classica.. Sono mari quasi del tutto inesplorati per quanto mi riguarda.
Ho un buon istinto, però, per i concerti e finora quelli che ho visto decidendo di pancia e non di testa mi hanno dato soddisfazioni, per cui ho pensato bene di reclutare due socie che potessero apprezzare il genere e mi sono regalata Raphael Gualazzi.
Avevo un po' di preconcetti, certo: sarà sicuramente il solito artista snob e freddo sul palco, ci farà cadere dall'alto la sua musica eletta e neanche degnerà di uno sguardo questo pubblico di provincia, questo pubblico di provincia sarà freddo e insensibile perché si sa, la provincia inaridisce.
Avevo torto marcio.
Il concerto non è stato un concerto ma una festa, aveva quell'umore che ti davano gli Aristogatti che suonavano “Tutti quanti vogliono fare il jazz” e lui, intimidito dalle attenzioni tra un pezzo e l'altro, sembrava trasformarsi una volta poggiate le dita sul pianoforte, cambiare faccia, attraversato dall'energia e dalla scarica di adrenalina.
Anche il pubblico, con i propri tempi, s'è scaldato: quando il gruppo è rientrato per la seconda volta timidamente s'è alzato ad applaudire, file di signore con la messinpiega e la camicetta di seta emozionate, branchi di paperelle ridacchianti davanti alla transenna quando è uscito dal camerino per firmare qualche autografo.



lunedì 20 giugno 2011

Monkey wrench

Ad un certo punto della mia adolescenza immusonita ho avuto la brillante idea di infilarmi in una camicia di flanella a quadrettoni bianchi e blu, di indossare jeans sdruciti e vecchie adidas distrutte, tralasciare il buonumore e struggermi perché non avrei potuto più acquistare album nuovi dei Nirvana.
Già, s'erano sciolti.
Neanche darmi il gusto dell'attesa.
Un bel giorno, Cobain decide di scappare dalla clinica in cui era stato mandato a disintossicarsi e rifugiarsi nel patio di casa, canna del fucile tra le otturazioni, e via, anni di buona musica distribuiti sul soffitto.
Vedova inconsolata e inconsolabile, vago per negozi di musica più o meno forniti e trovo un nome famigliare.
Dove l'ho già sentito? Dove ho già visto questa copertina beigiolina, questa specie di pistola? Lo compro.

A costo di riversarmi addosso l'autogol dell'atteggiamento da vecchia befana, ricorderò che i tempi erano diversi: c'erano i negozi di dischi, la musica si acquistava sotto forma di ciddì, operazione che prevedeva l'interazione verbale e fisica con un commesso, il pagamento attraverso cartamoneta e il ritorno a casa con la custodia ancora chiusa nella plastica, magari in bicicletta, per poi chiudere fuori il mondo dalla stanza e gustarsi il primo ascolto tramite un arnese di rara bruttezza qual era lo stereo.
Sto parlando più o meno del 1996.

A pensarci mi sembrano passate ere geologiche, neanche secoli: (fortunatamente) ho abbandonato la flanella in tutte le sue declinazioni, ormai butto i jeans lisi e strappati e con malcelata difficoltà anche le vecchie adidas. Sono cresciuta, insomma.
Ma loro ci sono, sempre.
Per questo, in attesa di una conferma di orario da parte del mio socio a delinquere, nel delirio di una telefonata di novità impellenti, quando la Zia Isa mi dice che il socio non mi avrebbe raggiunta ("bellastella, ha mal di denti") decido che sarei entrata lo stesso, che avrei tralasciato ogni indugio e che avrei visto comunque il concerto, anche da sola, senza soldi e affamata.
Loro ci sono da sempre, mi devo fare coraggio: borsa a tracolla entro in quello che a prima occhiata è chiaramente un parcheggio riadattato ad "arena concerti", con il cemento che da la sola impressione di aver visto momenti di raro calore nell'andare del pomeriggio, idea chiaramente disegnata sulle facce stravolte di chi dorme a terra.
I primi venti minuti sono i peggiori: sono da sola, non conosco nessuno, la gente sembra super presa bene e io mi sento la zia sfigata di tutti quei ragazzetti a petto nudo o in costume che si aggirano ridendo per il parcheggio e non faccio che ripetermi "belìn che sfigata che sei" con il tipico accento genovese che affiora quando penso di me cose brutte.
Poi prendo la decisione giusta: bere una birretta.
Non pubblicizzo l'alcol e in periodi di lucidità mentale quella neanche avrebbe il diritto di chiamarsi "birra" semmai "sciacquatura di piatti alcolica" ma sono sola, triste, non ho amici e nessuno con cui condividere quello che per me sarà il concerto dell'anno, cosa dovevo fare a parte aspettare di vedere che l'unico più patetico di me avrebbe suonato con il suo bel petto di pollo nudo per penultimo dall'alto dei suoi sessantacinque anni biondi? Andare a casa, triste e beffata dalla sfiga nera?
Onestamente, col cazzo.
Ho preso una birra gelata per una cifra spropositata, mi sono messa in mezzo alla folla e ho assaporato tutto il gusto dell'attesa.
Prima i Social Distortion, poi Iggy Pop e poi loro, la magia, la meraviglia, il piacere auditivo e orale, la carica erotica che è esplosa con l'intro di "Burning Bridges".


sabato 11 giugno 2011

Charmless man

Ieri sera sono stata abbordata scendendo dalla metropolitana.
Questo mi guarda sottecchi, sul treno, probabilmente convinto che io stia ricambiando il suo sguardo e non cercando di radiografare il manzo al suo fianco, molto carino nonostante una vaga somiglianza con Paul Phoenix, e quando scende mi si avvicina, cambia idea, sale le scale lentamente.. Io cerco di andare oltre, ma il chiacchierare di due galline fianco a fianco mi impedisce la fuga.
E' stata una giornata lunga, sono le nove e mezza di sera, ho fame, ho sete, ho sonno, l'universo mi da fastidio.
Non riesco a scartare di lato il pollaio per cui l'abbordatore mi si avvicina e attacca bottone.
E' anche gentile, glielo riconosco.
Parliamo un pochino mentre io vado verso il binario e penso che sono lusingata, certo, ma vorrei tanto avesse da fare.
Evidentemente no, dato che mi accompagna fino al treno, cercando di convincermi che è l'uomo della mia vita e che non mi lascerà mai.
Certo, mi conosci da cinquecento metri, perché dovresti lasciarmi?
A nulla valgono le mie ragioni a non volere il suo numero: gli piaccio, ha deciso che staremo insieme tutta la vita, che posso rinunciare ai miei progetti - un po' romanzati, lo ammetto - che non sarà una delusione, che non staremo insieme "solo un anno" ma che non mi lascerà mai.
Neanche quando gli faccio presente che è un po' prematuro prendersi questo impegno cede, anzi, è un po' piccato perché non gli do fiducia e arriva addirittura allo stupore quando gli dico di non volere un fidanzato.
Cosa cosa cosa??? Non è possibile!
Tenta ancora qualche volta di convincermi a fidanzarci, mi accompagna a prendere una bottiglietta d'acqua e ci separiamo,  lui per la sua casa in prestito ad Assago, io per il mio viaggio verso casa.
Sarebbe meraviglioso fosse finita qui: io che addirittura scrivo un post per celebrare l'evento e lui che aspetta (in vano, confesso) che io lo chiami probabilmente fino alla prossima donna della sua vita sulla metro verde.
Invece no, scovo 5€ accartocciate nella borsa e decido che mi premierò con una focaccina, mi avvio verso la macchinetta sul binario 19 e lo vedo che torna e riparte alla carica.
Tu mi piaci, staremo insieme per sempre, ma perché vivi da sola? vengo io a vivere con te (eeeh?! ma io sto BENE da sola! non ti voglio!), ma io sono bravo, ne vale la pena, non ti pentirai.. pare un disco rotto che fino a quel momento sembrava simpatico, ora inizia ad infastidirmi, anche perché mi tocca. Io odio essere toccata, soprattutto da chi non conosco e che mi sta impedendo di raggiungere il mio treno e addormentarmi alla seconda riga di Harry Potter.
Cerco di sganciarlo, e sale sul treno con me, si siede davanti a me a patto che io abbassi la voce e riparte con il sermone sulla nostra favolosa vita insieme,  discorsone che io cerco di tagliare facendogli presente che sta diventando fastidioso.
Ora, non sono una stronza.
O meglio, lo sono, parecchio, ma non del tipo che ti ignora se le rivolgi la parola sulla metropolitana.
Neanche di quelle che  ti mandano affanculo in malo modo se non interessate.
Sono gentile, sono cortese, sto al gioco, sono ironica ma non apprezzo gli sconfinamenti.
Quindi.. perché insistere? Perché pensare che se sarai abbastanza cocciuto io ti cambierò idea? Cosa ti fa pensare che l'essere tedioso ti farà guadagnare i miei favori?
Devo forse pensare che in quanto donna mi ritieni incapace di prendere una decisione diversa da quella che tu prenderesti per me?
Ti do forse l'impressione di non aver capito da che parte sono voltata e di aver bisogno una costante e martellante pressione per dirigermi verso la giusta via?
Se ti dico "no", è "no", non è un "no che vuol dire sì", non è un "no ma se insisti diventa sì", non è un "no perché voglio pensare di essere capace di dirtelo ma sotto sotto è un sì", è un "no" che non cambia idea perché insisti, anzi, è ancora più "no" se insisti.


venerdì 20 maggio 2011

Kobra

Non sopporto i giochi di strategia.
Risiko, Monopoli e compagnia cantante mi urtano.
Trovo siano una fatica inutile, un impiego di talenti sprecato, una palese perdita di tempo ed energia.
Figuriamoci le strategie nelle relazioni donna-uomo! Non servono, per il più semplice dei motivi: le donne ragionano in un modo diverso. Non meglio, non peggio, solo differente.
Altrimenti ci capiremmo.

Prima di vivere con lei, vivevo in un appartamento brutto in una zona brutta di Parma con due coinquiline brutte che di questi giochetti erano grandi teorizzatrici.
Ricordo l’analisi logica di sms maschili per me perfettamente chiari nelle intenzioni per estrapolare un messaggio tra le righe ipoteticamente amoroso, certamente sessuale.
Ancora mi chiedo quale sia il sottinteso sessuale in “Grazie, vengo volentieri a cena domani sera”.
E' che io non li capisco, proprio non ci arrivo. Non riesco a comprendere cosa cambi nella percezione di chi sta dall'altra parte se una telefonata arriva prima o dopo, se l'invito è a pranzo o a cena, se la proposta è diretta o lasciata solo intendere.
Mi sento Forrest Gump alle volte, con me bisogna fare discorsi semplici.
Mi piaci/non mi piaci.
Niente "ora ti lascio ad intendere che mi piaci ma senza darti troppe illusioni per cui mi faccio desiderare anche se ogni tanto qualcosa ti concedo così tu..", niente "meglio se si fa sentire lui prima ma magari provo a fargli uno squillo tanto per vedere se risponde e se risponde riattacco ma con il numero nascosto così non mi richiama anche se vorrei sentirlo", niente "gli mando un sms facendo finta di sbagliare numero e vedo cosa mi risponde e come mi risponde se usa 'ciao' oppure 'hey tesoro' o se neanche saluta".
A che servono? Io voglio messaggi chiari, senza giri di parole, arrivare al punto, diretti.
Voglio che si parli in STAMPATELLO con me, che si parli come si parla ad un bambino di cinque anni [cit.].

Ora, io sono una grande saggia delle vite degli altri, come sempre dispenso ottimi consigli ma mica li so applicare quando si tratta di me e soprattutto quando si tratta di dover ricevere una certa telefonata.
Perché io non aspetto le telefonate, mi fa impazzire aspettare le telefonate, non voglio dipendere dalle telefonate.
Piuttosto telefono io.
Invece no, sconsigliato. Non t'azzardare a prendere in mano quel telefono, si farà sentire lui.
E se non si fa sentire?
Ma io devo restare qui a tritarmi il fegato, a soffriggermi il cervello, a grigliarmi lo stomaco perché forse si farà sentire?! Nooo, io non voglio, non voglio spendere il mio tempo nell'incertezza, nel dubbio, nell'anarchia delle informazioni. 
Io voglio sapere, voglio sapere subito se c'è trippa per gatti o se 'ste bestie devono morir di fame e di stenti. 
Non importa quanto duro sia, io voglio sapere. Subito.
Invece no, sembra un film con Nick Nolte - ancora 48 ore.