mercoledì 25 gennaio 2012

You learn

Non ho ancora un punto di vista obiettivo quando si tratta dell'Italia, di tanto in tanto mi manca, ma infondo sono solo tre mesi che sono qui, neanche il mio beauty-case si è disfatto del ricordo del BelPaese e porta in giro creme e saponi italici.
Di casa mi mancano le cose laterali: la mia cucina, uscire per un caffè con un'amica, incazzarmi con il telegiornale - non ha la stessa forza incazzarsi con internet.
Quel che mi è parso di capire è che qui hanno un'idea un po' distorta degli Italiani: ancora ieri mi è stato chiesto se è vero che in Italia amiamo i bambini e per questo ne facciamo tanti.
Oppure se siamo molto religiosi, o se le donne cucinano tanto e bene.
Un baule di cliché duri a morire di lei, probabilmente ereditati dal boom economico degli anni sessanta e rimasto fotografato nell'immaginario di una generazione fa, perché quella attuale, i ragazzini, per capirci, adolescenti e post-adolescenti, non sanno molto. Anzi, a quanto m'è parso di capire non sanno niente.
Lo dico perché lavoro con un ventaglio di ventenni che appaiono sempre un po' dubbiosi quando la conversazione esce dal triangolo shopping - fast food - soap opera.
Sarà che, come si diceva al telefono questo pomeriggio con la mia amica Fra, sembrano tutti più giovani di noi da un po' di tempo a questa parte.

Comunque sia ho trovato un passatempo degno della mia asocialità: andare in biblioteca.
Ci passo le ore.
Sarà che ho un portatile e la wifi è illimitata, ma da quando ho fatto la tessera la mia vita è cambiata. Non devo passare tutto il mio tempo in quella stanzetta che ho affittato nella brughiera di Cambridge, circondata dal cattivo umore di papà Gigantor, posso ascoltare la musica (con le cuffie) e mi sento parte di questa cittadina universitaria.
Tutto sta a trovare un nuovo lavoro, così cambio casa abbandono i Gigantors alle loro lagne.

la vista dalla biblioteca

1 commenti:

Nelson ha detto...

Libraries are sexy :)

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